Uno virgola trentasette

di Andrea Levi Della Vida

Uno virgola trentasette! “È questo il punto” avrebbe detto un amico.

È l’ultimo tasso di natalità rilevato dall’ISTAT per ilnostro paese, e a determinarlo contribuiscono tutti gli stranieri residenti, notoriamente più prolifici di noi autoctoni. È un numero che dice che ogni cinquanta anni la popolazione si riduce di più della metà: da 100 a 46,9, da 46,9 a 22 da 22 a 10,3, da 10,3 a 4,8; tra 150 anni la popolazione italiana potrebbe essere ridotta a poco più del 10% dell’attuale. Il fenomeno riguarda Europa e Giappone, che con l’Italia è al vertice della classifica. Le variazioni climatiche per la nostra discendenza saranno marginali!
Si fa un gran parlare di politica, antipolitica, populismi, scissioni, primarie, riforme elettorali, eccetera, ma quasi nulla è stato detto e si dice su questo drammatico numero che certamente indica la ridottissima propensione alla riproduzione delle generazioni al momento in età; rinuncia al mantenimento della specie che è uno degli istinti primordiali dell’individuo come quello di conservazione, più forte della fame, della sete e del sonno, segno evidente della patologia di una società che non ha più voglia o sa immaginare un futuro migliore per i propri figli.
E come si può spiegare questo fenomeno in un mondo che a detta degli analisti economici è molto migliore di quello di cento anni fa poiché mette a disposizione di ciascun individuo molti più beni materiali e possibilità di vita? Che ragioni ha questa incongruenza?
A guardar bene forse quello che dicono i matematici economici non è del tutto vero e contrasta con la sensazione di molti, soprattutto dei giovani. Esistono aspetti della vita che non sono misurabili e quantificabili in modo esatto: il sentire individuale, le emozioni, la vita di relazione, la capacità di avere e talvolta realizzazione sogni e/o legittime attese in un contesto sociale che ha smarrito le regole della convivenza civile nella schizofrenia tra pubblico e privato, essere e apparire. Una difficoltà di vita che ho trovato ben enunciata nel prologo di un libro “Per conquistare uno spazio, se non hai santi in Paradiso, tocca sgomitare come al tavolo del buffet di un self service ‘All you can eat’, dove, com’è noto a tutti, non esiste, e forse non è neanche possibile, nessuna forma di civiltà”.
La politica è latitante e forse si può intuire il perché.
La storia presenta esempi di democrazia che risalgono all’antica Grecia e al medioevo, ma sporadici e isolati. Bisogna attendere la rivoluzione francese e la guerra d’indipendenza americana per vederla applicata come sistema di governo di una nazione e la sua diffusione e adozione da parte di molti popoli è relativamente recente. È quindi per motivi storici che la cultura della gestione del potere in modo autoritario sia molto più nota e ubiquitaria di quella relazionale della democrazia che richiede maggiori regole e rispetto delle stesse di quanto necessiti al potere autoritario e, soprattutto, tempi più lunghi per la realizzazione dei progetti, perche ogni singolo attore dovrà essere convinto alla partecipazione fattiva per evitare intoppi, rallentamenti, incidenti di percorso. In un mondo che ha sviluppato sistemi automatici di trading per massimizzare i guadagni, che pretende dj risolvere i problemi con il clic di un invio, in cui la riflessione sembra diventata un lusso di pochi è impensabile fare un progetto di cui non si vedano e godano i risultati nell’immediato. Rientra quindi in questo filone il tentativo di Renzi, grande fautore della “smart politik”, di modificare radicalmente la costituzione a favore del decisionismo, sottovalutando che due delle tre dittature europee del secolo scorso si sono realizzate all’interno di sistemi costituzionali democratici senza o con modesto uso della forza per assenza di opposizione. E per quanto riguarda l’Italia quel periodo è stato rimosso dall’inconscio collettivo assumendo la Resistenza come episodio riabilitativo generale. La mancata elaborazione e superamento delle grandi emozioni che ha comportato il ventennio impedisce la comprensione dei motivi che hanno portato il Paese in balia di una dittatura che ha cancellato l’ordine costituzionale privando molti della libertà e dei diritti.
Il “No” al referendum, che ha una grande varietà di interpretazioni, non può non essere considerato una richiesta di maggiori regole per una società che si sente abbandonata al caos. L’incapacità di far rispettare le regole di convivenza civile in cui il nostro paese primeggia rende la società così detta civile un luogo ove la legge del più forte e/o del più furbo premia comportamenti che civili non sono.
Il senso d’inadeguatezza che hanno molti individui nel vivere in un mondo, di fatto, senza regole è forse alla base della depressione come risposta collettiva della società.
E questa mancanza di regole è evidenziata dal fatto che nessuno è più tenuto a produrre i risultati del suo lavoro, a cominciare dal potere legislativo che non riesce a emanare leggi di valore su temi di grande interesse sociale e frequentemente si limita ad enunciati delegando ad altri il contenuto (leggi delega), per arrivare alla dirigenza e ai quadri della pubblica amministrazione che è quasi impossibile costringere a fare un qualcosa definito non di competenza, inutile o impossibile.
È giunto quindi il momento di sparigliare!
È vero la nostra costituzione va riscritta, ma per gradi, nei tempi e nei modi adatti a maturare un convincimento tale da far sì che le modifiche siano una risposta collettiva di miglioramento e non un gattopardesco cambiamento. Forse così facendo si cominciano a ridefinire regole condivise per la convivenza civile
È indispensabile lasciare al potere esecutivo la programmazione economico-finanaziaria e la gestione delle crisi ed emergenze nazionali e internazionali lasciando al potere legislativo una programmazione a medio e lungo termine per la rielaborazione e guida della società. Un punto di partenza puà essere la definizione di regole per i corpi intermedi tra la società e le istituzioni: i partiti. È al loro interno, infatti, che si devono elaborare idee e proposte basate su studi seri e rigorosi che portino alla scomparsa degli annunci a effetto a fini campanilistici ed elettorali, basati su dati inattendibili per la metodologia di raccolta. E sulla base delle idee e delle proposte organizzare le attività elettorali, supportate da una legge con valenza costituzionale, difficilmente modificabile dal vincitore di turno per i propri interessi.
Necessaria anche, in un periodo di eclissi del buon senso la modifica dell’articolo uno della vicente costituzione aggiungendo dopo la parola “lavoro”: “e sui suoi risultati”. Si chiarisce così, in maniera inequivocabile, che il lavoro non è solo tempo occupato, ma deve anche corrispondere generalmente a produzione di risultati tangibili ponendo su basi certe il fatto che gli incarichi vanno attribuiti sulla base di competenze e non solo di appartenenza o conoscenze personali. L’esempio dell’opera di Roma, carrozzone da lungo tempo con bilanci in profondo rosso e considerato insanabile, sotto la gestione di persona capace e competente ha raggiunto in un breve periodo il pareggio di bilancio, migliorando contemporaneamente la qualità della produzione offerta.
Un cambio di mentalità ed impostazione che è indispensabile per portare il settore pubblico a livelli di efficienza ed efficacia comparabili con quello privato e mettere il Paese in condizione di competere dignitosamente a livello internazionale. Perche, a ben vedere, non sono tanto i costi diretti della politica a pesare su bilanci e deficit, quanto i costi indotti da inefficienze del sistema determinate da attribuzione d’incarichi a persone incapaci o inadatte al ruolo, solo sulla base di appartenenza e conoscenza, al fine di mantenere o gestire un potere non legittimato da idee o progetti.

 

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